Le colpe del regime dell'Eritrea
Le violazioni sistematiche dei diritti umani del dittatore Afoworki. Le vessazioni sugli italiani. E Roma tace
Malta avrà pure le sue colpe, ma forse l’arcipelago del Mediterraneo non è il vero problema. Per i disperati che arrivano dall’Eritrea governata da una dittatura rigidissima, le cause del loro dramma si chiamano violenza e repressione. Le galere eritree sono piene di dissidenti, di intellettuali, di giornalisti. Non importa se siano stati eroi della lotta di liberazione contro l’Etiopia, durata trent’anni. Il dittatore Isayas Afeworki non ha risparmiato né combattenti di prima linea, né strateghi della lotta armata. Soprattutto ha voluto zittire i cervelli più fini e più creativi della rivoluzione. Aster e il marito Petros (da Friedsofaster.org)
PETROS E ASTER - Questo il caso di Petros Solomon, di sua moglie Aster Yohannes e di tre dei loro figli scomparsi nella galere eritree senza lasciare traccia e senza che l’Italia, di cui l’Eritrea è un partner privilegiato, abbia mai chiesto conto. Durante la guerra di liberazione Petros è uno dei leader del Fronte popolare di liberazione eritreo (Fple) e arriva a ricoprire il posto di capo dell’intelligence. È lui che guida i guerriglieri che entrano e catturano Asmara il 24 maggio 1991. Allora diventa ministro dell'Interno, poi della Difesa e degli Esteri. Poi, in dissenso, si defila e gli viene affidato un dicastero minore, quello della Pesca. Finito il secondo conflitto con l’Etiopia, Petros con altri quindici eroi della guerra di liberazione (ministri, generali, sindaci) critici verso il regime, osa sfidare il dittatore: firmano tutti un documento con il quale si chiede a Isayas democrazia e l’applicazione della Costituzione. È la loro condanna. All’alba del 18 settembre 2001, undici di loro, compreso Petros Solomon, vengono arrestati dagli agenti della Hagerawi Dehnet, la polizia segreta. Si salva solo chi è all’estero e tra questi sua moglie Aster Yohannes, una guerrigliera della prima ora e dirigente del Fple. Nel 2000 si era trasferita a Phoenix, in Arizona, con il sogno di completare i suoi studi, grazie a una borsa delle Nazioni Unite.
TESTIMONIANZA - Piermario Puliti, ex insegnante della scuola italiana di Asmara, ha passato con Petros la sera prima dell’arresto: «Parlammo accanto allo stereo con il volume alto. Si era accorto di essere spiato. Si sfogò. "Probabilmente mi arresteranno e costruiranno contro di me accuse assurde, corruzione, rapporti di affari con italiani e americani, con i nostri nemici etiopici. Siamo arrivati in ritardo, dovevamo svegliarci prima. Isayas si è preso tutto il potere. Ci arresteranno. Ormai è chiaro: non vuole applicare la Costituzione democratica che abbiamo scritto assieme"». Il governo di Asmara rifiuta ripetutamente le suppliche di Aster per poter ricongiungersi con i suoi bambini cui viene negato il permesso di raggiungerla in America: «Se vuoi rivederli torna ad Asmara». Al telefono lo stesso Isayas le garantisce, con crudele slealtà: «Vieni, non ti sarà fatto nulla». Con gran coraggio lei parte ma lancia un messaggio ai giornali, compreso il Corriere: «Se mi arrestano – scrive - ditelo al mondo».
ARRESTO - L’11 dicembre del 2003 i suoi bambini Simon, 13 anni, i gemelli Zeray e Hanna, 10 anni, e la piccola Maaza, 4, sono in trepida attesa all’aeroporto con un regalo affettuoso: un mazzo di rose rosse. Aster scende l’ultimo gradino della scaletta e viene immediatamente arrestata, trascinata via con la forza, sotto gli occhi atterriti dei ragazzini in lacrime mentre gli strappano così la loro mamma. Da quel giorno Aster è sparita. Nessun processo, nessuna incriminazione. Qualcuno dice sia morta. Ma il dramma non finisce qui. I quattro ragazzi, nel frattempo accuditi dalla nonna, frequentano la scuola italiana di Asmara, l’unico istituto decente del Paese. Nel giugno scorso scompaiono. Sanno che subito dopo gli esami finiranno a Sawa, il temuto campo di addestramento militare famoso per le violenze e le torture.
IL CAMPO DEGLI STUPRI - Le giovani eritree lo chiamano più semplicemente il campo degli stupri perché finiscono per diventare le concubine degli ufficiali. A inizio luglio si diffonde la notizia che quattro figli di Petros e Aster hanno tentato la fuga verso il Sudan ma sono stati intercettati. Tre ragazzi sono stati arrestati e sono scomparsi. La piccola Maaza riesce a scappare con la nonna materna.
SILENZIO DALL'ITALIA - L’Italia in tutto questo si distingue per il suo silenzio assordante. Nessuno che spenda una parola sulle pesanti violazioni dei diritti umani in un Paese che le classifiche di democrazia del mondo collocano ai livelli più bassi. Tutti muti, nonostante gli schiaffi subiti dai nostri connazionali e perfino dai nostri diplomatici: l’espulsione dell’ambasciatore ad Asmara, Antonio Bandini, che aveva osato criticare il regime per l’arresto dei leader nel settembre 2001; il grave ferimento da parte delle guardie di frontiera eritree di un medico, Maria Antonietta Zampino, e di un’infermiera, Teresa Graceffa, nel giugno 2003; il sequestro nel 2005 del quartier generale del contingente dei carabinieri inquadrato ad Asmara nella missione dell’Onu in Eritrea e Etiopia (Unmee). I nostri furono costretti poi andarsene quasi alla chetichella e fu il primo caso della storia dell’Onu, di un Paese che si ritira prima della fine del mandato; l’arresto a Massawa il 4 marzo 2006 del numero due della nostra ambasciata, Ludovico Serra, costretto a passare due notti in guardina e a tornare in autobus ad Asmara; l'abbattimento con fanatismo iconoclasta a Massawa, poche settimane dopo da parte delle ruspe dell'esercito, della splendida villa di Riccardo Melotti, conosciuta come la Cyprea, costruita dall’architetto Luigi Vietti negli anni Sessanta, una delle più belle dimore di tutta l’Africa. E poi l’ospedale italiano confiscato, nostri connazionali finiti in carcere senza motivo apparente, come Alfonso d’Arco poco prima di Natale 2005 e di cui per cinque mesi non si è saputo nulla con la Farnesina impotente. E minacce a giornalisti e ai critici del regime; intimidazioni e aggressioni da parte di scherani del regime verso i profughi eritrei in Italia che partecipano alle manifestazioni contro Isayas; minacce continue contro chi eritreo in Italia non paga il pizzo: il 2 per cento dei propri guadagni deve essere versato nelle casse del governo, altrimenti non si ha diritto al rinnovo del passaporto e ai certificati consolari.
INFERNO - Questo è l’inferno da cui la gente scappa. Abbandonano tutto: parenti, amici, affetti e affrontano un viaggio difficilissimo durante il quale sanno di poter perdere l’unica cosa che gli rimane: la vita. Ricacciarli indietro in quel gulag vuol dire condannarli a morte.
Massimo A. Alberizzi
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24 agosto 2009